Questo post (o anche sfogo) avrebbe dovuto intitolarsi "why Italian IT projects and professionals just suck", poi un impeto di bontà mi ha fatto risparmiare le persone da quel giudizio forse troppo ingeneroso. Lo stimolo a scrivere qualcosa di simile mi proviene dai contatti quotidiani con colleghi che si dibattono in processi pseudo-industriali senza capo né coda che si lamentano continuamente della scarsa organizzazione nonché della scarsissima professionalità che è loro richiesta per portare avanti il lavoro.
Il problema principale risiede nella mia esperienza pluriennale nel campo, tanto come schiavo, analista programmatore, tanto con ruoli non meglio definiti ma che venivano, di volta in volta, rivestiti con un'etichetta posticcia. Questa andava da quelle credibili, tipo: "team leader", "project manager", a quelle assurdamente insignificanti come: "technology enthusiast" o "Spring evangelist" che sembrano sputate da un generatore casuale di qualifiche stronze. Inoltre ho avuto la fortuna di poter seguire anche progetti presso aziende extra nazionali ed ho potuto farmi un'idea, di sicuro parziale ed irrilevante, su quali possano essere le cause del fatto che qui da noi, la totalità dei progetti rappresenta un caso speciale a sé e costituisce un'emergenza sin dalle prime fasi della pianificazione. Si potrebbe, a questo punto, intavolare uno dei soliti discorsi-da-pausa-caffè in cui i consulenti (o lavoratori dell'IT) si producono nella tipica lamentela sul perché i progetti su cui lavorano facciano regolarmente tanto schifo o sul perché in Italia ci siano così tanto poche startup e perché negli USA ce ne siano così tante, anche fatte da italiani. In questi discorsi si cerca il capro espiatorio ponendolo di volta in volta in: motivazioni di budget, carenze del marketing, dirigenti stronzi e impreparati, notizie ruberie e tangenti prese - spesso a sproposito - da quei giornalini distribuiti gratuitamente nel metrò. Senza voler togliere veridicità a tutto ciò (potrebbe essere anche vero in tanti casi specifici), ci sarebbe da aggiungere una grande verità: i progetti IT in Italia fanno schifo perché fanno schifo i professionisti italiani dell'IT. Si tratta, in larga parte, di figure improvvisate che, cioè, non possiedono alcuna qualifica per svolgere il mestiere che fanno. E questo, si badi bene, partendo dalla base fino ad arrivare al top management. È come se pretendessi che un carpentiere che sa fare solo porte da interni faccia il ponte sullo Stretto di Messina.
Nel corso della mia carriera lavorativa si contano sulle dita di una mano le persone che, pur facendo gli analisti programmatori o i project manager ad esempio, avevano una qualche formazione (anche lontanamente) attinente a tale, non semplice, mestiere e che, particolare non trascurabile, venivano pagati in maniera commensurata al lavoro che svolgevano. Non so se sia per colpa della scuola che non fornisce formazione tecnica o della società o della crisi, o di personali inclinazioni, tuttavia è così. L'impreparazione e l'improvvisazione regnano sovrane.
Si badi bene: non è un corso di PMBOK a creare un ottimo project manager, così come non è un corso di Java a creare un buon programmatore! Chi sostiene il contrario o è in malafede o non ci ha capito granché. Ma questi sono punti di inizio imprescindibili per intraprendere quelle rispettive carriere e per sapere, anche lontanamente, di cosa si va a aparlare nella pratica lavorativa del quotidiano. Servono elementi quali la curiosità, l'entusiasmo, la giusta motivazione (anche economica!) per ciò che si va a fare. Queste "molle" diventano indispensabili in uno scenario in cui tutto cambia ed evolve a velocità pazzesche. Bisogna mettersi continuamente in discussione e con umiltà cercare di migliorare laddove si venga giudicati carenti. Ed eccoci al punto dolente. Chi ha le competenze per stabilire una metrica di giudizio professionale (basata ad esempio su obiettivi condivisi) sulla quale impiantare una seria valutazione meritocratica che spinga le persone a migliorare, motivandole? Insomma, il management è preparato a fare ciò? La risposta, anche in questo caso, è: assolutamente no. Ma qui da noi i problemi cominciano già dalle politiche di recruitment. Se infatti è comprensibile che ci siano delle difficoltà in campo HR (dovute essenzialmente alla jungla di burocrazie, leggi e normative caratteristiche del "Belpaese"), lo è assai di meno guardando le politiche di assunzione, specie nelle piccole e medie realtà. Qui infatti l'azienda ha la massima discrezionalità sulla scelta delle persone da assumere, e proprio in questo campo si vede l'assoluta incompetenza ed inefficienza nel saper distinguere le competenze di chi si candida. Quando invece, altrove nel mondo, si parla di recruitment basato sul social, sulle valutazioni fra peer ed
è interessante come, ancora una volta, ci siano startup di italiani che
propongono servizi all'avanguardia in tal senso (vedere questo Gild, ad esempio). Perché non possono farlo qui?
Forse la prendo alla larga.
Vi fidereste a farvi operare l'appendicite da un chirurgo che dichiarasse pubblicamente di operare sì, quando capita e per dovere, ma di trascorrete tutte le sue giornate, diciamo, giocando a tennis da tavolo? O facendo dolci moldavi? Siccome si è ciò che si fa più spesso, se la maggior parte del tuo tempo lo impieghi giocando a ping pong, sei prevalentemente un giocatore di ping pong. E, non so voi, ma io non mi farei operare da un giocatore di ping pong o da un pasticcere. Invece nell'IT italiano accade regolarmente questo: persone che sono tutt'altro dall'IT, pretendono di fare IT (fregando la propria azienda in primis) o vengono in qualche modo obbligate a farlo. A tutti i livelli. Se in Italia la prevalenza è delle piccole e medie imprese, dobbiamo concludere che forse (e sottolineo forse) l'attuale andamento dell'IT non consente alle piccole e medie realtà di fare bene il proprio lavoro. Le obbliga ad un complicato e continuo processo di arraffazzonamento e piccole cialtronerie per sbarcare il lunario e - comunque sempre - navigando a vista. Ad abbassare le tariffe ben al di sotto di punti critici, di fatto, uccidendo il mercato e, cosa ancora più grave, i professionisti. Infatti la sistematica applicazione di questo modo di procedere a tentoni e "al ribasso" ha prodotto l'uccisione di un'intera generazione di tecnici e professionisti che sono stati, di volta involta, assunti per ricorpire posizioni per cui erano incompetenti (e questo anche per colpa loro in quanto in Italia più che altrove ai colloqui si mente spudoratamente), poi sotto utilizzati, non adeguatamente motivati e formati, rilocati, riciclati, demoralizzati e regolarmente mobilitati quando non addirittura licenziati. Quali attività possono oggigiorno portarsi avanti con un tale materiale umano? Cosa si può fare "che funzioni" con questo retaggio? In verità, ben poco. Lo sa bene chi decide di costruire qualcosa di funzionante per vendere un servizio e deve pertanto garantire dei livelli soddisfacenti. Spesso è un serpente che si morde la coda ed è complicato spezzare questo circolo vizioso fatto di aziendine sempre in limine mortis, professionisti sfiduciati e costretti a lavorare con paghe da fame al proprio livello di incompetenza e che pertanto non sono in grado di trascinare le realtà in cui lavorano a quel livello di stabilità richiesto per poter investire su persone e tecnologie, che poi è l'ossatura delle aziende che stanno sul mercato internazionale (si fa prima a dire americano). In questo scenario la qualità dei prodotti è seriamente compromessa e, infatti, sono prodotti che non stanno in piedi, se non ad un costo umano esorbitante e con budget per la manutenzione che superano otto-dieci volte quello del progetto iniziale. Aggiustare tutto ciò in corsa? Possibile ma difficile.
Infatti lo scenario per il futuro non è roseo ed il business non aspetta che l'italietta di Collodi si organizzi coi suoi tempi. I grandi fornitori di servizi statunitensi si stanno dotando di infrastrutture che - da qui a cinque, dieci anni - gli consentiranno di evolvere verso nuove forme di servizio informatico che già si possono vedere in strumenti come le IaaS o le PaaS di Google, Amazon o VM Ware ed altre. Con la maturità delle tecnologie cosiddette "in cloud", l'IT vedrà ridurre ulteriormente il proprio perimetro di competenza e, conseguentemente, i propri budget. I servizi informatici somiglieranno sempre di più alla fornitura di corrente elettrica in una pubblica abitazione: plug & play. Si mette la spina nella presa, si consuma, si paga una bolletta. Il tutto ignorando ciò che c'è dietro, dove si trova e da chi è fatto. L'IT nel nostro Paese è quindi destinato a dissolversi. Al suo posto ci saranno le solite grandi multinazionali ed in più nasceranno piccole ed agili società di brokers che come lavoro andranno porta a porta nelle aziende a "piazzare" servizi che vengono fatti dai professionisti americani a Mountain View o da qualche parte in India. Questi piazzisti dell'IT saranno probabilmente quelli che oggi lavorano come programmatori junior (sottopagati) in uno dei grandi carrozzoni del nostro Paese, con buona pace di quelli che si riempiono la bocca con parole di aiuto ai "giovani". Il lato positivo è che Italian IT projects & professional won't suck anymore because you cannot suck if you don't exist.
FDD Entry Coordinator Specialist
RispondiEliminaQuesto è l'ultimo (ed attuale) titolo che mi è stato affibbiato.
junior brand awareness surveyor... è proprio la supercazzola
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